
Una Venezia unica nella sua unicità
Dopo più di 20.000 passi e le gambe stanche, non più abituate a camminare per 12 km no stop, il nostro morale era ancora alle stelle! Venezia così non l’avevamo mai vista e forse non ricapiterà più.
Era ancora fine febbraio quando, vista la situazione che si stava prospettando per i giorni a seguire, abbiamo riflettuto sulla mancanza di turismo nelle grandi città e di quanto queste potessero sembrare vuote; quando al tg si cominciavano a sentire i primi sconcerti da parte delle autorità e di chi ha attività che si basano principalmente sul turismo.
Il nostro primo pensiero è andato subito a Venezia, a qualche decina di chilometri da casa nostra, quella città che siamo sempre stati abituati a vedere gremita di persone che parlano ogni lingua possibile.
Da quel momento, abituati come siamo a prendere e partire per un viaggio, un weekend o un’uscita fuori porta, abbiamo deciso che la nostra prima meta, subito dopo la riapertura, sarebbe stata proprio Venezia. Per poterla vedere come non succederà forse mai più: vuota (o meglio, semivuota), senza eccessi “attira turisti”, in tutta la sua pura bellezza.

Le prime impressioni
Appena arrivata la notizia del via libera per gli spostamenti nella regione, quindi, abbiamo individuato il primo giorno disponibile e siamo partiti. Non siamo potuti andare subito, lunedì 18, ma abbiamo optato per il venerdì della stessa settimana, nella speranza che tutti i veneti non avessero avuto la nostra stessa idea.
Dopo oltre due mesi in casa si può immaginare la nostra emozione all’idea di prendere un treno, nonostante tutte le regole da seguire, per recarci nella nostra prima meta. Unica.
Sveglia presto, pranzo al sacco, mascherina, gel igienizzante, biglietti alla mano, “il treno diretto a Venezia Santa Lucia è in arrivo al binario 2” annunciato dall’immancabile voce registrata, profumo di Libertà!
Il primo impatto con questa nuova realtà, in cui la mascherina è un obbligo, non ci si può sedere dove si vuole, bisogna rispettare la direzione indicata per l’entrata e l’uscita dal vagone, dalla stazione, ecc, le distanze di sicurezza vengono ricordate in ogni cartellone, schermo luminoso o altro, ammettiamo sia stato strano. Allo stesso tempo, però, ci abbiamo fatto quasi subito l’abitudine.
Arrivati a Venezia Santa Lucia, usciti dalla stazione, la prima impressione non è stata esattamente come ce l’aspettavamo: il via vai di gente che camminava per le calli c’era, tanto che la famosa distanza di sicurezza di un metro spesso non poteva essere rispettata.
Una Venezia unica
Inoltrandoci, però, nelle zone che normalmente sarebbero le più turistiche, verso Rialto e San Marco, lo scenario è cambiato: negozi, negozietti, bar e ristoranti chiusi; pochi curiosi come noi che hanno voluto apporfittare di questa strana situazione; alcuni abitanti e lavoratori.
Il monumentale Ponte di Rialto, solitamente stracolmo di persone, era praticamente deserto e con le serrande delle botteghe che lo caratterizzano abbassate. La splendida Piazza San Marco vuota, anche questa con bar, ristoranti e negozi chiusi, con le sedie dei bar impilate e accatastate, in attesa di essere ridistribuite nei loro spazi per accogliere i turisti a bere un caffè all’ombra del famoso campanile, simbolo della città.

È stato percorrendo la Riva degli Schiavoni, anche questa semideserta, che ci siamo resi conto di essere passati da un opposto all’altro. La nostra ultima visita a Venezia infatti è stata durante il Carnevale dello scorso anno, 2019, uno dei periodi più intensi per la città.
Siamo passati da maschere, turisti e calli impercorribili per la calca, a mascherine, pulizia, abitanti e vita autentica della città. Una delle affermazioni più strane che ci sia uscita dalla bocca è stata “sembra quasi una città normale”.
Ci siamo voluti concedere uno spritz in uno dei pochi bar aperti lungo la Riva degli Schiavoni, godendoci la vista sulla chiesa di San Giorgio Maggiore e la tranquillità di questa surreale Venezia. Avremmo voluto che quel momento non finisse mai, ma poco dopo ci siamo alzati e abbiamo ripreso il nostro giro verso una versione ancora più unica della città.
Sestiere Castello
Per assaporare ancora di più la vita autentica dei veneziani, ci siamo voluti immergere nel Sestiere Castello, uno dei principali, nonché primi, nuclei abitativi della città. Volendo vedere Venezia con la forma di un pesce, questo sestiere si trova sulla coda, dove è presente anche il famoso Arsenale, l’antico cantiere navale della Serenissima, oggi in parte proprietà del Comune di Venezia e in parte della Marina Militare.
Nel sestiere di Castello ci siamo volutamente persi per le piccole calli che si diramano tra le case dei veneziani, sbucando nelle tipiche corti e attraversando ponti e sottoporteghi (sottoportici).

È proprio in questa zona che abbiamo trovato per caso il sotoportego de la peste, costruito in legno, con i dipinti di alcuni santi, risalente all’epoca dell’epidemia di peste del 1630.
La leggenda narra che sia stato costruito su suggerimento della Madonna, apparsa ad un’abitante della Corte Nuova (dove si trova il sottoportico), per impedire alla malattia di raggiungere la corte e così pare sia successo.
Oltre a qui, esplorando le affascinanti callette dai numerosi scorci, ci siamo trovati nel silenzioso e mistico Campo San Francesco della Vigna dove, diversamente da quanto faccia credere lo stile palladiano della chiesa, si trova un convento francescano.

Abbiamo poi percorso le Fondamente Nove, via che costeggia un tratto dell’estremità nord della città, da dove ci siamo addentrati nuovamente fino a Campo dei Gesuiti. Qui abbiamo respirato la vera autenticità di Venezia, tanto che ci siamo seduti sulle panchine a osservare e apprezzare la vita quotidiana, ora un po’ limitata, di chi vive nella città: i bambini che giocavano a palla, tre signore che chiacchieravano sedute su una panchina, così come i ragazzini a cui non importa più del pallone ma delle chiacchiere tra di loro.
Avevamo quasi concluso il nostro giro in una città che non avremmo mai immaginato di vedere, una Venezia unica nella sua unicità. Eravamo stanchi ma felici: stanchi perché per visitare Venezia la prima regola è scarpinare; felici per la nostra semi-libertà ritrovata e per la fortuna che abbiamo avuto di aver visto una città amata da tutto il mondo nella sua bellezza più autentica.

Alcune riflessioni
Prima di riprendere il treno ci siamo concessi un’altra pausa in un classico bacaro, dove non abbiamo potuto resistere ad un secondo aperitivo tipico: vino e cicchetto, con i quali si è conclusa una giornata stupenda e probabilmente irripetibile.
Ci siamo dedicati ad una visita “estetica”, senza addentrarci nella cultura visitando chiese, musei (che per altro erano ancora chiusi) o classiche mete della città. Ci siamo voluti godere una Venezia unica nella sua unicità, osservarla come non abbiamo mai fatto, ammirare i suoi meravigliosi scorci, percorrere calli poco battute dal turismo e meno ancora in questo particolare periodo storico.
Il nostro augurio è che Venezia si riprenda, più splendente che mai, sperando inoltre che questa situazione porti ad una riflessione sul suo “sfruttamento” per un puro tornaconto economico. Che ci sia modo di riflettere sulla sua autenticità, sul fatto che non sia un parco giochi, che ci sono delle persone che ci vivono e non vogliono trovarsi costrette ad andarsene da casa loro a causa di una cattiva gestione del turismo. Perché sì, crediamo sia questo il problema di Venezia, città splendida e famosa per la sua unica bellezza.
Lo sfruttamento del turismo l’ha portata a perdere in parte la sua autenticità, dedicando moltissimi spazi ad esso, non pensando a chi invece la vive tutti i giorni nella sua quotidianità.
Vogliamo però lanciare un appello anche ai visitatori, come noi in questo caso, ricordando che come in ogni luogo vanno mantenuti dei comportamenti consoni, per un turismo sostenibile e responsabile, che rispetti l’ambiente, il paesaggio, gli abitanti, la cultura e le tradizioni di Venezia.
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